x ing. Abundo e prof.ssa Pieravanti,
di seguito sono riportati per punti i suggerimenti relativi al set-up e
alla calibrazione del Calorimetro a flusso per le future verifiche calorimetriche di Hydrobetatron.
I punti riassumono quanto elaborato dall'ing. Mario Massa e da me.
Osservazioni preliminari:
1)
In considerazione dell’eccesso di calore atteso, stimato ad oggi
intorno al 20%, sarebbe opportuno che il Calorimetro avesse una
efficienza del 0.95. In ogni caso valori di efficienza riscontrati
inferiori a 0.9 renderebbero poi le successive misure non attendibili.
2)
Al fine di garantire una corretta calibrazione occorre aspettare di
avere raggiunto il regime stazionario del sistema. Si consiglia di
considerare il raggiungimento della stabilizzazione termica dopo che
siano trascorse almeno 3 o 4 ore dall’inizio del processo di
riscaldamento.
3) Una volta raggiunta la stabilizzazione termica
la misura del ΔT dovrebbe essere condotta per una durata di almeno
60 minuti.
4) Per quanto già discusso da Mario in merito alla
stima degli errori, occorre fare riferimento a un ΔT minimo
(ingresso-uscita) di 10 °C.
5) La calibrazione dovrebbe essere
eseguita almeno per due valori di potenza operativa, ad esempio si
potrebbe ipotizzare 100 e 200 W e ripetuta un paio di volte.
6)
Se si vuole ottenere un’efficienza elevata del Calorimetro, normalmente
si dovrà ricorrere all’inserimento di una resistenza termica tra cella e
camicia al fine di mantenere l’elettrolita a una temperatura
sufficientemente elevata pur avendo una portata ragionevole dell’acqua
di raffreddamento.
Fissati i parametri di cui sopra, si
suggerisce di realizzare un unico flusso d’acqua costante di 8 litri/ora
che, per quanto detto, appare alla portata dell’attuale design. Un tale
flusso in teoria permetterebbe di ottenere un delta T di circa 10°C
@100W e di circa 20°C @ 200W.
Dovendo sostenere una circolazione
di fluido per 4-5 ore si consiglia l’uso di un serbatoio da 50 litri e,
considerando che la quantità è comunque limitata, di non riciclare
l’acqua con un circuito di raffreddamento.
Il contenuto del serbatoio
sia mantenuto a temperatura ambiente, e preferibilmente sia munito
di un termometro, o sonda termometrica di accuratezza adeguata, immerso
nel fluido per una prima valutazione della temperatura dell’acqua in
ingresso.
Una volta certi di essere giunti alla stabilità si
dirotta il tubo di uscita del Calorimetro in un recipiente vuoto di
raccolta (esempio serbatoio da 10 litri) posto sopra ad una bilancia di
precisione e si eseguono periodiche misurazioni di massa e di
temperatura per un’ora esatta (od un tempo cronometrato simile).
Durante
questo tempo si registra il ΔT ogni minuto e alla fine si fa una
media per avere il delta T medio. Dal peso dell’acqua transitata e si
ottiene la portata media.
La relazione matematica per le valutazioni del Calorimetro è:
P = {[macqua * c * ΔT] + [k * (T−Tamb)]} / t
con T = (Tin+Tout) / 2
P è espressa in W
m è espressa in kg
c (a temperatura 25°C e pressione ambiente) vale circa 4180 J/(kg*K)
ΔT è espresso in Kelvin
t è espresso in secondi
t è espresso in secondi
Imponendo l’uguaglianza con la Pin nota, quella erogata della resistenza e misurata dal Wattmetro, si deduce il coefficiente k del Calorimetro.
Se tutto è stato fatto a regola d’arte il coefficiente k dovrà risultare indipendente dalla potenza.
Il rapporto:
P / [macqua * c * ΔT] / t
rappresenta l’efficienza del Calorimetro nelle condizioni di test e come detto non dovrà essere in ogni caso inferiore a 0.9.
Veniamo ora alla resistenza da utilizzare per la calibrazione, essa dovrà essere
alimentata con lo stesso circuito utilizzato per la cella vera e
possibilmente con valori simili di tensione.
Data la durata
prolungata del test, occorre registrare regolarmente la potenza (e/o
energia) entrante indicata dal Wattmetro per poi fare gli opportuni
calcoli e la media sulla potenza.
La cosa migliore sarebbe di
disporre anche di un secondo alimentatore, di tipo DC stabilizzato, in
grado di alimentare la resistenza con la stessa potenza.
I risultati
ottenuti, utilizzando l’alimentatore stabilizzato DC facendo il prodotto
V*I, dovrebbero coincidere con la potenza media calcolata nel
test con Variac.
Si dovrebbe registrare una maggiore potenza nel
caso della misura con Variac (dell’ordine di 10W) da imputare alle
dissipazioni del Variac e dell’eventuale trasformatore di isolamento.
Questa differenza dovrebbe risultare immutata (in valore assoluto in assoluto) anche nel test eseguito a potenza doppia.
Se
le dissipazioni risultassero maggiori, si consiglia di sottoalimentare
il Variac mediante autotrasformatore messo a monte di tutto.
Le
dissipazioni aumentano con il quadrato della densità di flusso e quindi
con il quadrato della tensione di alimentazione.
Alimentando il Variac a
110V le dissipazioni si riducono a 1/4.
Chiaramente, per un Variac con uscita 0-270V, la massima
tensione erogabile si ridurrebbe a 135V, valore
che potrebbe comunque essere sufficiente per le prove a minore potenza.
Se invece la potenza utilizzata è alta (ordine dei 300-400W) allora i 10W divengono trascurabili.
Si
ricorda a riguardo della condizione
di ebollizione che, considerando il poco eccesso supposto, sarebbe opportuno rimpicciolire il condensatore e realizzare un unico circuito in serie per fare cadere il condensato
direttamente nella cella.
Pagina pubblicata il 24 Dicembre 2012
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